Una finestra sulla Compassione

Il termine compassione notoriamente scatena una serie di reazioni ed espressioni che vanno dallo stupore a quasi il disgusto, dall’arretrare fino al negare di poterla provare; si tratta di un sentimento che spesso è confuso e paragonato alla pietà o alla superbia: in entrambi i casi sbagliando.

Compassione è la nostra capacità di riconoscere la sofferenza dell’altro e attivarci per alleviarla; è un movimento spontaneo del cuore, è un sentimento che produce melodia allineando il mio cuore al tuo che sta soffrendo, è riconoscimento, è un riverbero di umanità, crea connessione tra noi e l’altro, crea rete, allevia il senso di solitudine che possiamo provare durante l’incontro con la sofferenza.

E la sofferenza, per quanto possiamo adoperarci, è qualcosa che non possiamo evitare nella nostra vita; tutti i risvolti e le pieghe della vita possono contenere uno o più momenti di sofferenza, nella parte più privata come in quella professionale, tra le persone che amiamo e che ci sono più vicine come tra chi incontriamo di sfuggita.

Da dove partire quindi? Innanzitutto dall’integrare, dall’accettare la sofferenza nella nostra vita, senza lotta ma attraverso la consapevolezza della sua presenza. Lo so, non è per niente facile, è estremamente sfidante, per questo ti invito a rispondere con sincerità: “Puoi sempre evitarla?”. No.

La Mindfulness è uno strumento utile ed estremamente efficace per iniziare a incontrare la sofferenza, partendo da un piano se vogliamo anche molto pratico: la sofferenza fisica che può essere dovuta alla posizione. Diversi minuti seduti nella stessa posizione, le gambe incrociate, i punti di contatto che iniziano a dolere. Imparare a stare, non per stoicismo, ma incontrando il dolore e scegliendo volontariamente di non porvi subito rimedio ci allena a non fuggire dalla sofferenza, iniziando innanzitutto ad osservarla, sviluppando così l’attitudine ad incontrarla.

Allenarci a maturare una nuova attitudine nell’incontro con la sofferenza personale si ripercuote a livello pratico anche nell’incontro della sofferenza nei nostri contesti di riferimento (familiari, professionali, sportivi, …) e permette al costruzione di un dialogo che oltre ad avere uno scopo risolutivo della sofferenza, laddove possibile, ha l’ulteriore scopo di creare connessione e riconoscimento nell’altro, permettere la sua apertura.

Chiudo queste brevi righe con un focus su questo ultimo passaggio attraverso una citazione di Kristin Neff: “Notare la sofferenza implica capire insieme come dire l’indicibile”.

 

Direttore scientifico: Loredana Vistarini (loredanavistarini@gmail.com)

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