
C’è una “non azione” che è l’azione più saggia che possiamo fare, ma c’è una “non azione che ha tutt’altra natura. Ha la natura della non fiducia e scaturisce dall’incomprensione. Non fiducia nella vita che ci chiede di agire e nella capacità che abbiamo di farlo proprio perché ce lo chiede.
E’ la non azione che scaturisce dalla paura di sbagliare e delle conseguenze che ne possono derivare.
Vi ricordate la parabola dei talenti utilizzata nel Vangelo da Gesù? (Mt 25, 14-30) Il servo che per paura di perdere tutto e di incorrere nell’ira del suo padrone (di cui ha una immagine distorta) preferisce seppellire il talento invece di metterlo a frutto? Privandosi così dell’incontro con la vita e condannandosi alla sterile e spaventata attesa del ritorno del padrone. La paura dell’imprevisto, che ci porta a rimanere fermi, a non procedere, a non scegliere. A non produrre frutto, dal quale solo possiamo comprendere la natura dell’albero che siamo.
A volte davanti all’imbocco di una strada un esercito di pensieri, sempre più rigidi, più foschi, più agguerriti ci bloccano. Un esercito di “se” e di “ma”. Pensieri pieni di paura. Che ci fanno accontentare di ciò che abbiamo rinchiudendoci (come ci spiega in un suo bel commento proprio a questa parabola, Enzo Bianchi) nel nostro “io minimo”.
La pratica di mindfulness può aiutarci a vedere questi pensieri, a notare la loro reale natura di impersonalità, impermanenza e sofferenza, e a lasciarli andare. Può anche aiutarci a sostituirli con pensieri più gentili.
Così, aperti all’esperienza momento dopo momento, diventiamo consapevoli di una leggerezza e di una saggezza interiore che ci porta all’unica azione possibile, non nella certezza che sia quella “giusta in assoluto”, ma nella convinzione che sia quella “salutare” in quel momento, accettando che ciò che può sembrarci utile oggi potrebbe un domani non esserlo più.
Non c’è un modo “giusto o sbagliato” di porsi davanti alle scelte, a volte esse sono facili, a volte sono difficili. A volte abbiamo chiarezza, a volte no. Non è molto importante. Questa è la vita.
Chiederci di non sbagliare è chiederci di non vivere. Non c’è nulla di male nello sbagliare. Piuttosto ciò che ci distrugge e ci fa soffrire è la paura di sbagliare, non l’errore in sé. Entrando in confidenza con questa paura, senza riserve e senza giudizi, possiamo permetterle di essere presente e contemporaneamente di non lasciarci guidare da lei. E forse possiamo anche fare delle scoperte interessanti sulla sua natura.
Nelle tradizioni contemplative, (nelle quali l’attuale pratica di Mindfulness affonda le sue radici) viene ben indicato.
In un suo discorso (il sutta 4 dei discorsi mediani) il Buddha a proposto della paura ci racconta:
“Allora io mi dissi, o bramano: dunque se in certe notti paurose, al plenilunio e al novilunio, al quarto crescente ed al calante, io cercassi sepolcri nei boschi, nelle selve, sotto gli alberi, e dimorassi in sedi di raccapriccio e di orrore, per poter pure io provare che sia quello spavento e terrore? E infatti nel corso del tempo, io dimorai in sedi di raccapriccio e di orrore. E mentre io stavo là ecco che un capriolo si avvicinava, o un gallo di bosco spezzava un ramo, o il vento scuoteva il fogliame; ed io pensavo: ora apparirà’ certamente quello spavento e terrore. Ed allora io mi dissi, o bramano: ma perché’ aspetterò’ inerte l’apparire della paura? Non sarebbe meglio che, appena quello spavento e terrore dovesse comunque mostrarsi, io immediatamente l’affrontassi? E quello spavento e terrore scese su di me mentre io camminavo su e giù’. Ma io ne’ mi fermai, ne’ mi sedei, ne’ mi distesi, finché’, su e giù’ camminando, stando dritto e fermo, stando seduto, mentre giacevo, non ebbi affrontato e disperso quello spavento e terrore”.
Ed ugualmente nel Vangelo troviamo che la fiducia e la presenza mentale dissolvono la paura (Matteo 14, 22 -23:
Sul finire della notte, Gesù andò verso i suoi discepoli, camminando sul lago. Quando essi lo videro che camminava sull’acqua, si spaventarono. Dicevano: « È un fantasma!» e gridavano di paura. Ma subito Gesù parlò: « Coraggio sono io! Non abbiate paura!». Pietro rispose: «Signore, se sei tu, dimmi di venire verso di te, sull’acqua». E Gesù gli disse: «Vieni!». Pietro allora scese dalla barca e cominciò a camminare sull’acqua verso Gesù. Ma vedendo la forza del vento, ebbe paura, cominciò ad affondare e gridò: «Signore! Salvami!». Gesù lo afferrò con la mano e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».Quando salirono insieme nella barca, il vento cessò.
Possiamo scegliere di essere presenti alla realtà (ed incontrare anche noi il capriolo, il gallo di bosco, il vento, dare la mano al fantasma riconoscendo in lui Gesù, camminare sulle acque) nella sua pienezza, il che vuol dire sia nelle sue componenti piacevoli che in quelle dolorose. E così sperimentare “l’essere”, parte indivisibile di questa realtà, che siamo. La vita semplicemente è, quella che è, così come si presenta momento per momento. Possiamo incontrarla e riconoscerci quindi in questa unione che ci definisce via via che i frutti delle nostre azioni maturano, oppure possiamo girare la testa da un’altra parte e moriamo. Questo sta a noi. Se ce ne andiamo, se rifiutiamo, se neghiamo ci sentiremo inesistenti, inconsistenti, effimeri come il pensiero, dei macigni come i nostri giudizi, resi indegni e negati dal nostro stesso rifiuto. Rifiutare la vita così com’è significa infatti rifiutare noi stessi,
Così mi sembra bellissima l(e molto significativa qui) la conclusione “apocrifa” che Enzo Bianchi propone nel suo commento alla parabola dei talenti:
“Venne il terzo servo, al quale il padrone aveva confidato un solo talento, e gli disse: “Signore, io ho guadagnato un solo talento, raddoppiando ciò che mi hai consegnato, ma durante il viaggio ho perso tutto il denaro. So però che tu sei buono e comprendi la mia disgrazia. Non ti porto nulla, ma so che sei misericordioso”. E il padrone, al quale più del denaro importava che quel servo avesse una vera immagine di lui, gli disse: “Bene, servo buono e fedele, anche se non hai niente, entra pure tu nella gioia del tuo padrone, perché hai avuto fiducia in me”.
Ripeterci consapevolmente alcune di queste frasi nel silenzio della pratica può essere utile per generare quella disposizione mentale alla fiducia e all’accoglienza che ci permette di incontrare con meraviglia e senza pregiudizi ogni pezzetto del cammino sul quale poggiamo il piede:
Che io possa amarmi per quello che sono
Che io possa accettare le cose così come sono
Che possa accettare che ognuno ha la propria storia
Che possa essere in grado di incontrare con gentilezza il piacevole e lo spiacevole
Tutto è come deve essere
Ogni evento che si manifesta è il frutto di un seme che è stato piantato in precedenza
Oggi posso piantare il seme di ciò che si manifesterà domani, questa è la mia libertà
Che io possa piantare un seme salutare nel terreno della mia mente
Non posso controllare le emozioni e le sensazioni, posso accoglierle con gentilezza, senza agirle e senza respingerle
Non posso controllare gli eventi, ma solo incontrarli con accoglienza e gentilezza senza lasciarmene sopraffare, né negandoli
Non posso controllare o cambiare le persone, ma solo incontrarle con accettazione e gentilezza, senza confondermi e colludere con esse e senza rifiutarle e odiarle.