Le origini

radici_buddiste

Le origini della Mindfulness: il Buddismo Theravada

L’esperienza mentale di consapevolezza che si insegna nei protocolli Mindfulness Based (come pratica di autoconoscenza) trae le sue origini dalla tradizione buddista theravada (la più antica delle tre grandi correnti meditative buddiste diffuse in Asia meridionale, Birmania, Cambogia, Laos e Thailandia da 2500 anni.) ed in particolare dalla pratica di meditazione Vipassana (presenza mentale o chiara visione). I presupposti della Vipassana,  prevedono un’investigazione continua della realtà interiore ed esteriore per arrivare ad eliminare la sofferenza attraverso un cammino di liberazione. Le antiche scritture buddiste, infatti, sono le prime a sostenere che la coltivazione di uno stato mentale di consapevolezza  aiuti a sciogliere il disagio/ sofferenza del vivere

Il buddismo è piuttosto diverso dalle altre tradizioni spirituali, in quanto appare molto più affine ad una sfera psicologica che religiosa. Nei suoi insegnamenti il Buddha si è molto più occupato di esplorare la dimensione mentale e sensoriale dell’uomo, rivelandosi un acuto e raffinato studioso dei molteplici stati di coscienza, piuttosto che della dimensione dell’anima e della sua relazione con una qualche entità sovrannaturale.

I capisaldi della teoria Buddista : le 4 Nobili verità.

La prima Nobile Verità sulla sofferenza ci dice che la sofferenza è connaturata all’esistenza umana: “la nascita è sofferenza, la vecchiaia è sofferenza, la malattia è sofferenza, la morte è sofferenza, il non ottenere ciò che si desidera è sofferenza.”

La seconda Nobile Verità ci dice che la sofferenza ha una origine: “l’origine della sofferenza s’identifica con il desiderio/brama” verso le situazioni, persone, accadimenti che sperimentiamo nella vita.

La terza Nobile Verità ci dice che poiché la sofferenza ha una origine può avere anche una cessazione: “la cessazione del dolore è l’estinzione, il completo svanimento, l’abbandono, il rifiuto di questa brama”.

La quarta Nobile Verità è la descrizione del “sentiero” che conduce alla cessazione della sofferenza: chiamato anche Nobile Ottuplice Sentiero: “retta visione, retta risoluzione, retta parola, retta azione, retti mezzi di vita, retto sforzo, retta consapevolezza, retta concentrazione”.

Qui il concetto di  “sofferenza” non riguarda solo i grandi dolori della vita, ma anche le piccole contrarietà, le insoddisfazioni che riempiono spesso le nostre giornate, ad esempio la “mancanza di serenità” tipica di quel disagio esistenziale che connota la condizione umana.

Sempre secondo la psicologia buddista le tre cause fondamentali della sofferenza umana sono:

a) l’attaccamento – la separazione da ciò che è caro  – che può esprimersi come dipendenza (da persone, sostanze o oggetti esterni come anche dall’essere sedotti dalle proprie idee, fantasie, desideri), paura di abbandono, avarizia ecc.

b) l’avversione – l’unione con ciò che non è caro – : rabbia, criticismo, giudizio negativo, controllo dell’altro;

c) visione errata, distorsione o ignoranza della realtà, distacco affettivo ed emotivo, negazione, intellettualizzazione, dissociazione (contrapposta a saggezza)

La cessazione della sofferenza deriva dal conseguimento, attraverso pratiche etiche e meditative, di quella saggezza che risveglia dall’ignoranza, (da cui discendono appunto attaccamento e avversione).

Per approfondimenti,  “Vita di Siddaharta il Buddha” del monaco vietnamita Thich Nhat Hanh, edizioni Astrolabio)

 

Direttore scientifico: Loredana Vistarini (loredanavistarini@gmail.com)

Ultimi post