L’Arte e la scienza della Mindfulness

Carlson e Shapiro, Piccin editore

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Introduzione di Jon Kabat Zinn

Ci dobbiamo congratulare con Shauna Shapiro e Linda Carlson per questa illustrazione estremamente stimolante e chiara di un settore in rapida espansione, delle sue varie origini, degli sviluppi potenziali, delle aree promettenti e degli eventuali elementi di preoccupazione. Entrambe le autrici hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo di questo complesso blocco di ricerche, come anche al concreto utilizzo in campo clinico degli approcci basati sulla mindfulness e alla definizione delle applicazioni emergenti. Per questo, parlano con grande esperienza, data da una profonda competenza, sia nell’arte che nella scienza della mindfulness e ne esplorano le implicazioni per inquadrare in modo nuovo il concetto stesso di guarigione. Ne sottolineano, inoltre, il valore importantissimo per arrivare a una comprensione più profonda di cosa voglia dire essere umani e dei livelli di scelta che sono per noi disponibili nel momento presente.
Per quanto riguarda l’arte della mindfulness, vorrei sottolineare alcuni punti che meritano di essere tenuti a mente nel momento in cui ci apprestiamo a entrare in questo territorio. Primo: insegnare la mindfulness, soprattutto in campo clinico, è davvero una forma d’arte che richiede a chiunque sia coinvolto, il clinico, il paziente o un partecipante a un gruppo, di essere considerato e visto come un essere umano nel suo insieme, al quale riservare tutta la dignità e la sovranità che sono intrinseche a questa condizione – aspetto che il Buddhismo chiama “vera natura” di ciascuno o “natura del Buddha”, “Buddhità”. Questo, naturalmente, è anche il fondamento dell’ontologia medica, del giuramento di Ippocrate. Ed è assiomatico che questo giuramento, e ciò che lo sostiene, debbano essere continuamente indagati e vissuti, in modo pieno e onesto, anche da coloro che decidono di avvicinarsi alla mindfulness e di utilizzarla nel loro lavoro con gli altri. Facciamo bene a ricordare che i nostri pazienti e i nostri clienti ne sanno molto più di noi riguardo a ciò che sta succedendo dentro di loro, anche se non ne sono sempre consapevoli o non si fidano del loro sentire o non conoscono bene le loro stesse capacità. È, quindi, di basilare importanza che anche loro condividano parte delle responsabilità correlate alla gestione della loro salute e del loro benessere. È un lavoro impegnativo e sono loro, quindi, a dover essere coinvolti, stimolati, incoraggiati a coltivare l’attenzione, l’intenzione, la compassione per se stessi, appena iniziano questo percorso interiore sul “non-fare” e qualsiasi sia il contesto dell’intervento. E, sono loro stessi a essere la fonte di energia e di guarigione nella realizzazione di qualsiasi intervento basato sulla mindfulness, anche nel caso di terapie orientate alla mindfulness dove, soltanto, il terapeuta è esperto di mindfulness. Ogni persona ha dentro di sé potenzialità e unicità innate ed è, per sua natura, un “essere miracoloso” che richiede e necessita di riconoscimento autentico e accettazione nel contesto della relazione terapeutica. Non è necessario aggiungere altro. Stiamo trattando qualcosa di molto più profondo delle parole stesse: una consapevolezza, senza parole, relativa alla pienezza dell’essere di ciascuno. L’accettazione positiva e incondizionata di Carl Rogers per i suoi pazienti rappresenta bene quello che anche a noi viene richiesto, quali insegnanti e terapeuti, per proteggere e approfondire quell’holding intenzionale e quel rispetto che sono alla base di ogni buona terapia e allo stesso tempo, di ogni tipo di relazione. Ciò che viene richiesto è la capacità di incarnare tutto questo, al di là di artifici o strategie. Questo vuol dire che diventa inappropriato basarsi su una semplice modalità imitativa soprattutto in questi contesti relazionali di tipo clinico. L’arte consiste nel realizzare una presenza, una mindfulness e una gentilezza consapevoli e corporee, autentiche. Come le autrici hanno evidenziato, queste qualità sono continuamente sviluppate, affinate e comprese meglio attraverso la pratica. È tutto questo che, alla fine, ci trasforma in umili studiosi della nostra stessa esperienza, se abbiamo la volontà di praticare con determinazione, apertura mentale e senso dell’umorismo, specialmente quando ci accorgiamo di quanto siamo fortemente aggrappati, in certi momenti, a pronomi personali io, me, mio.

L’arte della mindfulness – specialmente quella in situazioni cliniche nelle quali il paziente o chi partecipa a un gruppo ha poco o nessun interesse nella filosofia buddhista ma è lì a causa della sua sofferenza – richiede sensibilità per poter tradurre la pratica di meditazione in parole comprensibili e per riuscire a situarle, in un contesto dharmico più universale, supportato anche dalla scienza e dalla medicina. Inoltre, richiede l’abilità di infondere nei pazienti e nei partecipanti sufficiente passione per quello che stanno facendo, per la loro personale capacità di apprendimento, crescita, guarigione e trasformazione indipendentemente dal loro punto di partenza. Correlata a tutto questo è la capacità di riuscire a incoraggiare nei nostri pazienti una motivazione interiore per una pratica sincera e costante, in grado di portare crescente consapevolezza anche nelle sfide relazionali che li attendono, con gli altri e con il mondo.
Per non parlare poi della considerevole maestria che è necessaria per integrare efficacemente e insegnare tutti gli elementi essenziali dello yoga consapevole nei protocolli mindfulness per fare spazio con un’accettazione limpida a espressioni emotive spontanee, spesso non volute; e per far buon uso di una capacità di ascolto sensibile e rispettosa, indagatrice e aperta al dialogo per esplorare, insieme con il paziente, aspetti della sua esperienza interna. Inoltre, maestria è richiesta per comprendere le diverse pratiche meditative e poter coniugare tutto ciò con l’attualità caotica e le proprie vicissitudini interiori le convinzioni profonde che spesso ostacolano la crescita interiore.
Inoltre, esiste la sfera del non-verbale, della lettura e dell’interpretazione del linguaggio del nostro corpo, della prossemica, delle espressioni facciali, delle emozioni, di più sottili percezioni e di tutta una serie di commenti interni che si fanno come terapeuti o istruttori e la sfida vera e propria consiste nel dare vita a tutto quello che abbiamo appena descritto, senza idealizzare né le pratiche  per se stesse, né i benefici potenziali. Tutte queste aree e molte altre dovranno essere sviluppate e approfondite attraverso opportunità di training professionali e grazie a ulteriori ricerche empiriche, man mano che affiniamo la nostra comprensione degli elementi essenziali della mindfulness, cosa che migliorerà sia le capacità d’insegnamento che la coltivazione della mindfulness nei setting clinico e terapeutico. Questo include l’esplorazione sistematica dell’intima relazione esistente tra mindfulness e apertura del cuore, o, in altri termini, quale è il ruolo che ha la compassione verso di sé e verso gli altri, nel promuovere il benessere e l’integrazione all’interno del contesto mindfulness. Qui troviamo l’arte e la scienza che convergono su un’interfaccia complessa dotata di grandi potenzialità.
Riguardo alla scienza della mindfulness, forse uno degli aspetti più importanti allo stato dell’arte attuale, quello che viene definito il nocciolo duro della questione relativa agli interventi basati sulla consapevolezza è l’esplorazione empirica di quelli che sono ritenuti essere gli elementi più importanti nel conseguimento e nell’ottimizzazione di risultati significativi dal punto di vista clinico, vedere come questi possono essere ottenuti se da dati neuroscientifici o da misure maggiormente orientate in senso clinico, in relazione, naturalmente, a popolazioni di riferimento e/o a diagnosi o condizioni specifiche: tutto questo deve essere oggetto di discussione. Come le autrici hanno indicato, tra le domande più impellenti alle quali rispondere abbiamo la spiegazione dei meccanismi biologici specifici coinvolti, il chiarimento dei percorsi attraverso i quali è stato possibile arrivare ai risultati clinici osservati e l’approfondimento della nostra conoscenza, ancora basilare, della mente e delle relazioni tra questa, il corpo e la salute. Certamente, l’uso di disegni controllati e bilanciati appositamente per valutare tutti i fattori coinvolti negli interventi basati sulla mindfulness, dovrebbe permettere alla nuova generazione di ricerche di chiarire quale sia il ruolo svolto dalle specifiche pratiche di mindfulness e se questo giochi o meno un ruolo specifico sui risultati ottenuti, su quali tipologie di pazienti e di dire fino a che punto un risultato positivo possa essere dovuto a fattori non specifici relativi al setting, al tipo di intervento svolto, all’attenzione, alle convinzioni personali o all’entusiasmo dell’istruttore o del terapeuta, piuttosto che alla coltivazione della mindfulness di per sé. Questa è, naturalmente, una grande sfida che merita attenzione. Un’altra direzione interessante da esplorare è la possibile sinergia tra l’esperienza in prima persona generata in pratiche profondamente contemplative di diverse tradizioni meditative e lo sviluppo di una nuova generazione di interventi basati sulla mindfulness che, da una parte devono mantenere la natura saggia di tali pratiche e insegnamenti senza snaturarli, e dall’altra devono diventare accessibili a coloro i quali, come la maggior parte dei nostri pazienti, potrebbero non avere interesse alla meditazione di per sé, ma al contempo beneficiarne enormemente nel momento in cui la praticano. Le autrici sono state abili nell’estrapolare queste e altre tematiche e nel dimostrare come queste sinergie possano essere utilizzate per lo sviluppo di altri modelli teorici sulla natura del sé, della percezione e dell’apprendimento che ci aiutano a comprendere come comprovati effetti della mindfulness possano avere un ruolo fondamentale in essi.
Sono sicuro che questo volume diventerà un punto di riferimento e una risorsa importante, una fonte d’ispirazione sia per coloro che già conoscono queste tematiche sia per coloro che ne sono sempre più interessati ma che non hanno idea delle implicazioni né del patrimonio originario a esso collegato. È fuori di dubbio che questo testo contribuirà allo sviluppo del settore e che aiuterà molti professionisti a integrare la mindfulness nel loro lavoro psicologico e psicoterapeutico, a capire cosa sia la mindfulness e come potrebbe essere usata e ulteriormente investigata, a grande vantaggio dei vari contesti psicoterapeutici, ospedalieri, clinici e scolastici.Jon Kabat-Zinn
December 31, 2008
University of Massachusetts
Medical School
Worcester, MA

Prefazione all’edizione italiana

E’ un grande onore e un immenso privilegio per noi, essere state contattate dall’Editore Piccin, per presentare l’edizione italiana del libro: “The Art and Science of mindfulness “  di L.Carlson e S.Shapiro.
Tuttavia, a dire il vero, subito dopo il primo grande prevedibile entusiasmo, un attimo di perplessità ci ha colte, quando ci siamo rese conto che ci saremmo trovate  affiancate, con la nostra prefazione, a quella fatta in originale  dal Prof. Jon Kabat Zinn. Per un momento ci siamo guardate chiedendoci: cosa dire di più di quel che è già stato, così magistralmente esposto da Jon Kabat Zinn stesso?  E dopo un spazio di ascolto interiore è emerso, chiaro, che bastava solo esserci. Che bastava solo esprimere con gioia, il nostro sincero e semplice benvenuto a questo testo che rappresenta, a nostro avviso, un ottimo incoraggiamento alla riflessione per  i nostri colleghi, uno spunto di crescita  per i nostri pazienti e uno stimolante invito all’approfondimento per i nostri allievi.
Molta strada è stata fatta da quando, circa 30 anni fa, il Center For Mindfulness dell’Università di Worcester, ( U.S.A.) fondato da Jon Kabat Zinn ha  iniziato a operare,  con un  instancabile e considerevole impegno,  promuovendo applicazioni, diffusione  nonché ideazione di numerosi programmi e protocolli mindfulness based.
Articoli e  ricerche  sull’argomento, da allora, sono e stanno ancora crescendo esponenzialmente, segno evidente che la comunità scientifica sta sempre di più orientando la sua attenzione e il suo interesse verso l’innovativa proposta della Mindfulness.
E sono  proprio gli esponenti più autorevoli di questa comunità scientifica,  da decenni  impegnati nello studio e nella ricerca riguardo a salute mentale, neuroscienze e psicopatologia,  nomi quali D.Siegel, J. Williams, J. Kabat Zinn,  J. Teasdale, Z. Segal, K. Germer, P. Fulton,  R. Siegel, C. Mace, S.Hick, T Bien e  tanti altri ancora, che hanno messo a disposizione  energie, studi e background scientifici per offrire un tributo alla Mindfulness, attraverso la nascita di testi divulgativi  e/o didattici, contribuendo a regalarci un arricchimento e un approfondimento della  sua affascinante e articolata  prospettiva.
In questo già vasto panorama di testi, la nascita di questo libro si inserisce, a nostro parere, a pieno titolo,  contribuendo a colmare con i suoi innumerevoli spunti di riflessione, dati clinici e risultati di ricerche, alcuni degli interrogativi con cui, la nuova generazione di psicoterapeuti “mindfulness trained” si sta quotidianamente confrontando rispetto al target di utenza, alle varie  modalità di impiego  e alla vasta gamma di risposte nonché  effetti benefici della Mindfulness.
E proprio uno degli aspetti più interessanti trattati nel testo, riguarda infatti, il quanto, come e in che modalità la Mindfulness possa essere un valido “strumento” nelle mani di chi, come noi, lavora da decenni nelle professioni d’aiuto.
A riguardo, le autrici partono da considerazioni di possibili scenari in cui è auspicabile (ma oseremmo anche dire necessario) inserire la Mindfulness, sia come “modalità di essere nel mondo che come pratica che implica lo sviluppo di abilità”. (Shapiro, Carlson).
Questo compendio esaustivo, diventa oltremodo prezioso soprattutto per un “terapeuta consapevole”, perché punta il focus su una duplice valenza di direzione da indagare: quella interessata a sviluppare tratti personali propedeutici  al buon funzionamento di una relazione  terapeutica e quella che va ad affrontare il sotterraneo e, non sempre considerato, disagio degli operatori nelle professioni d’aiuto (troppo spesso esposti a carichi emotivi e stressogeni da rasentare il burn-out) ai quali  la Mindfulness può offrire un “ luogo sicuro di sostegno e cura” (Shapiro, Carlson).
Un altro aspetto degno di nota, è l’elaborazione di una possibile  teoria che vede  come fulcro, il  meta-meccanismo  della “ripercezione” termine da loro proposto per significare la  disidentificazione che avviene rispetto ai contenuti della coscienza. La ripercezione viene considerato il” fattore centrale che contribuisce in modo significativo agli effetti trasformativi della mindfulness” attraverso anche una rete di connessione ad altri processi aggiuntivi quali: l’autoregolazione, il chiarimento dei valori, la flessibilità cognitiva e l’esposizione.
Ma quello che le autrici sottolineano in chiusura, e non a caso, è  un superamento paradigmatico che permetta alla Mindfulness di uscire dai ristretti confini della cura e della patologia, sia essa fisica o mentale, per volare alto e riappropriarsi del nobile ruolo di aiutare noi umani, attraverso la coltivazione di emozioni positive e salutari,  nella sfida più grande di questo nostro passaggio sul pianeta, cioè l’evoluzione interiore.
Prima di chiudere, ci piacerebbe rivolgere un grazie sentito e personale, da parte nostra, alle autrici. Entrambe, una nell’ambito della psicopatologia e l’altra in quello della malattia oncologica, con il loro lavoro clinico e di ricerca svolto in questi anni (di cui peraltro è piena  la  “sezione ricerche” sul nostro sito web), ci hanno virtualmente guidato con spunti di riflessione, modelli da sviluppare nonché ricerche da citare, durante tutto l’operato portato avanti nel nostro Centro attraverso convegni, formazione, gruppi clinici e psicoterapie.
Ed anche senza aver mai avuto il piacere di incontrarci, le abbiamo sentite vicine. Allora, ci piace pensare che proprio in questo, è racchiusa, in ultima analisi,  l’essenza e la forza della Mindfulness: permettere di sentirci tutti, consapevolmente interconnessi, oltre i confini geografici e al di là dei ruoli o,  per dirla con  Thompson, aiutarci a sviluppare un planetario “interbeing“ che ha come matrice una stessa lunghezza d’onda, fatta  sostanzialmente di etica, rispetto e amore verso  noi stessi e il nostro prossimo.

Bianca Pescatori e Loredana Vistarini
Centro Italiano Studi Mindfulness

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